Sleeping beauties

 

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I numerosissimi fan del grande Stephen (qui in sodalizio con il figlio minore Owen, una vera impresa di famiglia) non si devono preoccupare: il penultimo libro del loro autore preferito (l’ultimo è uscito da pochi giorni) non li deluderà, se cercano quelle emozioni che da sempre lo scrittore ha assicurato- Il corposissimo romanzo (650 pagine fittissime) si lascia leggere con grande interesse, e in certi momenti l’operazione diventa addirittura spasmodica. Si deve venire a sapere subito, prima di subito, quello che succederà, e la tentazione di saltare le pagine è fortissima (del resto tante pagine sono state scritte proprio per creare un effetto di rallentamento che serve a potenziare la suspense). Anche gli altri marchi di fabbrica ci sono tutti: un intreccio articolatissimo di personaggi e vicende; personaggi con un passato inquietante o curioso, spesso riassunto in pochissime righe; una provincia americana normale e nello stesso tempo ambigua, che lascia trasparire istinti brutali al di sotto della calma piatta esistenziale; inquietudini, situazioni sospese e proprio per questo perturbanti; scene raccapriccianti o addirittura splatter, già pronte per essere sceneggiate in un film o in un (subito annunciato) serial televisivo, e così via. Su tutto, però, aleggia l’inconfondibile tocco alla King (a cui evidentemente il figlio, di cui è impossibile isolare il contributo, si adegua senza traumi) , e cioè quel cinismo espresso con una naturalezza e con un senso di normalità  fatto apposta per sconcertare e affascinare nello stesso tempo. Lo scrittore annuncia, riferite all’umanità,  cose terribili, come se fossero dati evidenti, posti sotto gli occhi di tutti, e in qualche modo trascurabili: si sa che l’esistenza è fatta così, e tanto vale passare oltre. In Sleeping beauties i King ricorrono ad un ulteriore tema, già sperimentato da Stephen anche se non in tutti i suoi libri: una concezione catastrofica del mondo, una prospettiva di degrado o di sconvolgimento apocalittico a cui dovrebbe tener dietro la ricostruzione ad opera di pochi, scelti, uomini e donne. E’un tema schiettamente americano, legato al puritanesimo delle origini, che lo scrittore di Portland accoglie e varia con grande, insuperata maestria. Del resto, a King è sempre piaciuto mostrarsi, talvolta, critico spietato di un certo “stile di vita americano”, che conduce a derive terrificanti: valga per tutti La grande corsa.

Tuttavia, nell’ultimo romanzo c’è, accanto a tutto questo, qualcosa di più; c’è la ripresa, e l’inserimento dentro una struttura thriller – horror, della mitologia cara al primo femminismo, e ancora circolante (penso!) in alcune frange particolarmente radicali del movimento. Un essere misterioso, un emissario (si presume) della Grande Madre femmina coincidente con la Natura, con il processo di nascita e riproduzione del mondo vegetale ed animale, compie il prodigio di imbozzolare e far addormentare in perpetuo tutte le donne che cedono al sonno, lasciando sconfortati ed atterriti i maschi i quali, da soli, non riescono ad orientarsi nel mondo. Cercano (i migliori di loro) di adoperarsi in tuti i modi per superare il sortilegio e recuperare le compagne di vita (che spesso, nel romanzo, bistrattano e rendono infelici) e nello steso tempo garantirsi il perpetuarsi della vita stessa. Per contro, le donne addormentate vivono in una dimensione parallela nella quale, essendo da sole, tentano di ricostruirsi una vita diversa, costituita e organizzata da sole donne; e solo con una votazione finale, concessa dalla donna-emissario, decideranno per diverse ragioni di ritornare nella loro realtà di prima, alcune riallacciando le relazioni, altre abbandonandole, altre scegliendo di eliminare i maschi definitivamente dalla loro vita,avendo scoperto la loro inerzia e la loro inutilità nell’assicurare lor una vita piena. Si giunge qui al massimo dell’individualismo, giustificato ed ostentato: “… la vita del marito era stata piena soltanto di cambiamenti ed incertezze, ma non doveva farselo piacere. O accettarlo”: proprio l’ideale per una convivenza.

Secondo copione, ciò che più di tutto convince le donne è la necessità di rivedere e di accudire i figli, gli unici maschi tollerabili (anche se non si sa cosa faranno in futuro, probabilmente cose pessime), per i quali rinunciano ad una prospettiva di esistenza, interamente gestita da loro, che avrebbe assicurato un mondo migliore, lontano dalla violenza e dai disastri della storia, di cui sono responsabili interamente i maschi. Come si vede, l’obbedienza dei King al femminismo più oltranzista è indiscutibile, così come percorre tutto il romanzo una insistenza a colpevolizzare i maschi che, ancora, è una parte fondamentale della vis polemica femminista. A conferma di tutto ciò, la protagonista femminile, lo sceriffo Lila, rinuncia alla relazione con il marito, abbandonandolo, anche se lo ama ( così assicura), ad una sorta di cupio dissolvi, e scegliendo di vivere una vita autonoma assieme al figlio neonato di un’altra.

Riassumere il romanzo è difficile, e probabilmente gli autori contano su questo (cioè sul continuo susseguirsi di colpi di scena e situazioni inedite) per snocciolare, senza far vedere le contraddizioni, la loro opinione del mondo, decisamente orientata verso la colpevolizzazione del genere maschile, e l’ assoluzione di quello femminile, nonostante il fatto che  nel romanzo anche le donne uccidono e fanno violenza, trattano i loro partners con insopportabile condiscendenza, si ergono continuamente a giudici delle loro azioni, li sottopongono a stress psicologici che farebbero esplodere di rabbia un eremita.  I due King dimostrano poi di avere la coda di pagli (o prendono in giro il lettore?) quando, in chiusura di romanzo, comunicano che una giornalista presente agli eventi si rifiuta di raccontare l’intera vicenda perché “la maggior parte della gente avrebbe commentato che le avventure delle donne dall’altra parte dell’Albero erano merda pura ” (p.637),  il che è effettivamente.

Se Sleeping beauties è un romanzo femminista (come spesso gli autori inducono a credere), certo non si preoccupa troppo di motivare il suo punto di vista, dando semplicemnente per scontato quello che invece dovrebbe essere dimostrato: il che lascia semplicemente aperto il dubbio che alla fine la crociata a favore delle donne non sia altro che un modo, a tratti efficace molto spesso no, di dare un ulteriore pimento ad una narrazione fluviale, e per moltissimi versi appassionante. Forse l’impegno non era necessario; certo non appare convincente, se lo scopo era quello di convincere chi non è già di per sé convinto. Che le donne possano stare da sole senza maschi può anche essere, dato lo sviluppo attuale della biologia; che un mondo tuto al femminile sia più auspicabile, anche per le donne, è tutto da discutere, così come l’idea che il mondo, così com’è, sia solo un prodotto dell’incoscienza maschile senza che le donne, elemento puramente passivo, non abbiano offerto nessun contributo. Allo steso modo, attribuire tutta la violenza ai maschi, assolvendo contestuialmente le donne, anzi limitando il loro ruolo a quello di chi attenua o spegne l’aggressività maschile, appare totalmente illusorio, e martellato dalla propaganda, non confermato dalla storia. Del resto, in un passo del romanzo (ulteriore dimostrazione dell’opportunismo degli autori e della strumentalizzazione della polemica antimaschile?), si afferma chiaramente che la colpa di essere violenti ricade sopra tutta l’umanità, e non solo sopra una parte di essa.

Nel capitolo conclusivo del romanzo, due personaggi donna, madre e figlia, trattano con sufficilenza e disprezzo la macchina che trasporta il nuovo presidente degli Stati Uniti: non si capisce bene se la motivazione del disprezzo stia nel fatto che si tratti di un maschio o nel fatto che si alluda a Trump. Ebbene, sono intimamente convinto che se molti americani (pentendosene amaramente) hanno votato Trump invece di Hillary, una parte della responsabilità ricade proprio su un certo femminismo oltranzista, utopico e liquidatorio, di cui questo romanzo è una (sia pure imperfetta e contraddittoria) derivazione.

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