Sepolcro in agguato

Con il suo ultimo poderoso romanzo (1101 pagine nette), Robert Galbraith (alias J.K. Rowling) raggiunge la quadratura del cerchio, superando nettamente i due precedenti, ed altrettanto corposi, romanzi, resi deboli da inserti non del tutto legati all’intreccio, che ne rallentavano la trama e ne rendevano difficile, a tratti anche faticosa, la lettura. Sepolcro in agguato invece, forse il miglior romanzo della saga Cormoran Strike e Robin Ellacott, corre via appassionando e coinvolgendo, porta in scena una miriade di personaggi, tutti tessere di un’indagine complessa che rischia di smarrire il lettore ( e sta forse qui l’unica difficoltà, che peraltro merita ampiamente di essere affrontata). L’autrice costruisce un intreccio che prosegue a scatti, ingolosendo il lettore con anticipazioni (incontri, appuntamenti, ambigue confessioni) che verranno appagate più oltre, nel testo, con un sicuro senso del ritmo e della suspense. In più, sullo sfondo (ma talvolta si spostano in primo piano) i drammi personali dei protagonisti e le loro difficoltà psicologiche ed esistenziali, che si amalgamano perfettamente con il fluire della trama “gialla”. In alternativa non stridente con l’intreccio poliziesco si impone il rapporto (o forse il conflitto o addirittura il dramma) sentimentale fra i due investigatori protagonisti che, come in tanti romanzi ottocenteschi dell’incomunicabilità, si rincorrono senza mai incontrarsi, si avvicinano ma sono pronti a sviarsi non appena colgono nell’altro un senso di disagio (che può anche essere dettato anche da ragioni banali, ingigantite dalla diffidenza e dalla permalosità). Il fatto è che Robin e Cormoran sono la rappresentazione di due mondi e di due personalità opposte, ciascuno con alle spalle un vissuto che li condiziona e li blocca; e con una difficoltà tutta inglese (vedi Camera con vista di Forster) di uscire da sé, fare il primo passo, uscire allo scoperto e dichiararsi, superare la frustrazione di un rifiuto, e ancor più il terrore di invadere lo spazio privato dell’altro (questo vale in particolare per la protagonista femminile, che introietta i particolari più minuti, persino le sfumature della voce, del comportamento di Cormoran). Per quanto sia relativamente agevole indicare lo stampo letterario da cui i due protagonisti sono stati formati, essi mostrano una complessità psicologica che ostacola la lontananza dell’astrazione. Entrambi i caratteri rimandano ad un vissuto e ad un milieu sociale che li esprime perfettamente, e che rende la loro caratterizzazione letteraria vera e autentica.

Di Strike non tutto è gradevole; Robin mette in campo con generosità tutte le sue doti di coraggio, intelligenza, indipendenza ( di cui è gelosissima), ma non rifiuta di accettare comportamenti improntati alla cura, alla sollecitudine e all’empatia che sono tratti attribuiti tradizionalmente all’animo femminile e che la rendono amabile ed indimenticabile. Ma a dimostrazione di come Galbraith non arretri davanti al fascino di un bel cliché letterario, anche di tipo romantico e sentimentale, è sufficiente rammentare uno degli episodi più drammatici del romanzo: Robin, in grave pericolo, corre verso la via d’uscita, sapendo con assoluta certezza, in cuor suo, che Strike è lì vicino, pronto a salvarla (il che avverrà puntualmente con Cormoran momentaneamente trasformato in cavaliere che salva la fanciulla).

E veniamo adesso alla quadratura del cerchio: la Rowling (una delle più dotate scrittrici postmoderne) costruisce un prodotto letterario che tiene insieme diversi generi letterari, soddisfacendo le più svariate esigenze dei lettori e oltrepassando con sicurezza i limiti del romanzo poliziesco tout – court. L’autrice combina insieme i due principali filoni del giallo classico: il mistery inglese, da cui aveva preso le mosse nei primi romanzi, e l’hard – boiled americano, che offre il suo contributo nell’importanza attribuita all’azione, nella tematica riguardante la pericolosa setta mistica (un luogo comune a partire da La maledizione dei Dain -, alias Il bacio della violenza di Hammet) nell’incastro perfetto di dialogo e azione. Le due varianti del poliziesco, nemicissime a partire almeno dall’irridente saggio di Raymond Chandler La semplice arte del delitto, qui si ricompongono nella commistione di azione (violenta) e razionalità, in una trama robusta che non lascia zone d’ombra, fitta di discussioni sulle diverse alternative che l’enigma pone,

Oltre a questo, Galbraith arricchisce l’intreccio con un’ambientazione precisa, anche sociologicamente coerente, con elementi ricavati dalla tradizione sentimentale (resa però più profonda e meno banale), dal thriller, e da una spruzzata di noir soprattutto nelle ambientazioni cupe dei rituali della setta, con apparizioni fantasmatiche, maschere degradanti, sadismo e quant’altro. Sepolcro in agguato si palesa insomma un organismo letterario ricchissimo e perfettamente calibrato, uno sforzo di totalità che riaccende a nuova vita luoghi comuni e tradizionali pratiche fabulatorie. Come dire: il potere assoluto della narrrazione che qualsiasi scrittore postmoderno sogna.

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