Scarpe scarlatte

 

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Il profilo autoriale di Antonio Grassi sembra smentire uno dei più ferrei caposaldi della narratologia; quello che impone di distinguere tra narratore reale e i dati della sua biografia (anche culturale) e autore implicito, che è qualcosa d’altro, ovvero la maschera che l’autore reale si mette sul viso quando scrive la sua opera. In realtà, per comprendere e gustare l’ultimo romanzo di Grassi (Scarpe scarlatte, C.A.S.A. Edizioni), i dati biografici contenuti nel risvolto di copertina (giornalista e scrittore) appaiono largamente insufficienti allo scopo. In quanto giornalista, bisogna precisare che Grassi, prima di diventare responsabile della redazione cremasca della “Provincia”, ha organizzato e diretto tre giornali locali di Crema, più o meno politicamente radicali, tutti alternativi ed espressione di una certa qual temperie sessantottina. In quanto scrittore, la sua vocazione narrativa è stata preceduta da due libri inchiesta, diretti a porre sotto accusa due mostri ambientali sorti in terra cremasca. Giornalismo e preoccupazione per la devastazione ambientale si incontrano anche in questo romanzo: Antonio Grassi (laureato in biologia e in stretto contatto con l’ambiente medico – ospedaliero grazie alla sua attività di ex informatore farmaceutico) basa l’intreccio di Scarpe scarlatte su uno scoop narrativo, che sembra fantascienza ed invece si dimostra un pericolo reale, ben dimostrato da articoli e relazioni congressuali: la possibilità di intervenire su un pacemaker, e di mandarlo in tilt semplicemente schiacciando il tasto di un computer. L’invenzione di partenza permette al narratore di avanzare un monito assai opportuno sulla fragilità della nostra società, tanto più tecnicizzata, e comoda, quanto più scivolosa, sottoposta a violenze nascoste ed imprevedibili, e ad un’angosciante mancanza di libertà personale (significativa la sarcastica battuta conclusiva del romanzo: “E si metta il cuore in pace: nessun segreto è inviolabile…Siamo tutti trasparenti”, p. 415).  Di rigore il riferimento al computer inquietante di 2001. Odissea nello spazio e Blade runner, debitamente citati nel romanzo).Sullo sfondo si situa, coerente a tutto questo, lo smaltimento in terra africana di rifiuti tossici, un altro degli elementi fondamentali della trama.

L’autore, infine, è cremasco; più precisamente, il sindaco di uno dei paesi citati in Scarpe scarlatte, Casale Cremasco, presente nell’opera e sfondo niente meno che di uno dei delitti.  L’essere cremasco conta nella tessitura del romanzo: Grassi vi manifesta il classico amore – odio nei confronti dell’ambiente provinciale in cui si è comunque formato e in cui continua a vivere. Da un lato spicca il disprezzo per i sepolcri imbiancati del luogo, tanto più odiosi ed espliciti quanto più l’ambiente è ristretto (appartiene a Grassi la sprezzante definizione di “repubblica del tortello”, con allusione ad un tipico piatto locale, un vero e proprio marchio identitario della zona) . Da un altro punto di vista, questa terra è da sempre il teatro prediletto dei suoi interventi giornalistici e della sua produzione narrativa. Il Cremasco, inteso come ambiente, divide di fatto la scena col protagonista, tanto è insistente e precisa la sua presenza; una location evocata con puntiglio documentario, con una cura così fanatica dell’esattezza dei particolari da produrre un affascinante senso di straniamento: i personaggi inventati si muovono con disinvoltura e naturalezza nei luoghi reali (Casale, Agnadello, Salvirola) ed interagiscono con persone realmente esistenti. Effetto narrativo a parte, è la dimostrazione di come Grassi abbia ben compreso che la costruzione di un thriller o di un noir attuali si debba fondare su un vissuto concreto, e fare i conti con la cronaca, ma anche con la sostanza umana dei personaggi e delle situazioni (a questo effetto mirano anche i continui riferimenti agli eventi,politici o meno, che accompagnano lo svolgimento dell’azione). A ben vedere, sta proprio qui il fondamento della critica che Raymond Chandler rivolgeva al romanzo poliziesco di marca inglese, che si risolveva in un’astrazione matematica e in un gioco di logica, senza delineare il vissuto dei personaggi e senza interessarsi alla realtà concreta.

Il nome di Chandler (inteso come uno dei massimi rappresentanti, insieme ad Hammet, della “scuola dei duri”) non è fatto a caso. Scarpe scarlatte si regge sopra una trama complessa, fitta di personaggi, come tradizionalmente nel giallo “d’azione”, anche se Grassi sembra aver affinato ancora di più la sua tecnica di burattinaio, offrendo un plot nel quale tutti i pezzi si incastrano senza sforzo, in un quadro coerente che vuole anche essere un giudizio morale, non benevolo, sui tempi attuali. Proprio come nei modelli, l’amarezza dell’autore si trasmette al personaggio, pur se il Daniele Segretari di Grassi (un poliziotto piuttosto anomalo, e probabilmente il detective più sboccato del romanzo poliziesco italiano) accoglie solo in parte la tristezza esistenziale di Philip Marlowe: preferisce reagire infatti con la durezza, il disprezzo, la violenza verbale ed aggressiva tipica di chi ha inghiottito troppi bocconi amari (e con una somiglianza, forse casuale, con il Duca Lamberti di Scerbanenco, a sua volta investigatore sui generis, facile all’imprecazione e a perdere il controllo). Lo scetticismo, il cinismo, anche, dell’autore travolge il personaggio, al punto che i due sono sovrapponibili: Grassi rivela la sua complicità con Segretari, adottandone i giudizi e il linguaggio. Attraverso la tecnica narrativa del discorso indiretto libero, autore e personaggio condividono la stessa disillusione, lo stesso penoso tramonto degli slogans d’un tempo e anche l’amaro scetticismo nei confronti di un futuro che, nel migliore dei casi, va costruito con fatica e difficoltà. Il materiale esibito dal romanzo è in proposito tanto abbondante da alimentare il sospetto che il giudizio del narratore sui tempi e le persone rappresentino il frutto di una delusione storica: quella di tanti contestatori (o fiancheggiatori) costretti a vedere con i propri occhi quanto poco è rimasto di quella, pur eroica, stagione; e quanto si sia tradotto nell’esatto opposto di quegli ideali.

In questo romanzo, la presenza di anarchici e ribelli (gli hacker, visti spesso non senza simpatia) è proporzionale alla loro ambiguità e alla manipolazione a cui sono sottoposti dai poteri forti. Lo stesso si potrebbe dire delle rivendicazioni delle donne. Ma l’ambiguità è la cifra dominante del romanzo; un’ambiguità che si estende al protagonista, l’estrema possibilità concessa al bene, un bene che non disdegna di sporcarsi le mani.

Quanti hanno apprezzato i precedenti romanzi di Grassi, ritroveranno qui, inalterata, quella che è forse la sua più grande risorsa di narratore: uno stile secco ed incisivo, una rapidità di azione e di dialogo, una capacità di delineare in pochi tratti ambiente e personaggi (anche quelli secondari), in modo da formare un quadro unitario che ambisce ad essere anche radiografia morale. E’ la tipica scrittura hard – boiled, molto cara a Grassi, così come certa letteratura nord americana alla Hemingway, fonte dichiarata anche della sua caratteristica prosa giornalistica. Si impone infine un richiamo alla rapidità e all’essenzialità del linguaggio cinematografico: stile velocissimo, dominato da forme implicite come il participio passato, e da aggettivi qualificativi (spesso posti ad inizio di frase) che addensano in una parola sola carattere e attitudine morale del personaggio. E poi azione, veloci cambi di scena: Grassi (e il suo personaggio) sono cinefili appassionati e si vede.

2 pensieri su “Scarpe scarlatte

    1. dornetti

      Scusami, ma davvero capisco poco il senso dei tuoi post. Magari sono osservazioni sottili, ma proprio non ci arrivo.. Peraltro, chi si azzarda a pubblicare un blog deve accettare serenamente i commenti di tutti e stare zitto. A presto

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